altri paesi, altre voci

comunicazione non verbale e
strategie comunicative tra bambini

Quando: 8-12 Luglio 2019

Partecipanti: Giulia (8 anni), Seryka (8 anni), Marlene (9 anni),  Anna (9 anni),  Mattia (10 anni), Ludovico (11 anni)

Il gruppo, composto da 6 bambini (dagli 8 agli 11 anni), comprendeva Seryka, 8 anni e di origine giapponese, che non parlava né italiano né inglese.

Quest’occasione unica e particolare ci ha offerto la possibilità di riflettere e osservare come Seryka si è relazionata con noi, con gli altri bambini e viceversa, e quali strategie tutti noi, adulti e bambini, abbiamo messo in atto per sostenere la relazione nel gruppo.

Questa documentazione riporta le strategie comunicative messe in pratica sia durante il lavoro di gruppo, alla quale Seryka ha partecipato sempre di più nel passare dei giorni, sia durante altri momenti delle giornate.

Aya, la mamma di Seryka, è rimasta insieme a sua figlia i primi giorni del camp

Prima di parlare delle interazioni tra i bambini e Seryka, comunque molto fluide e ricche, la strategia principale usata da noi atelieriste è stata quella di utilizzare il linguaggio scritto, tramite Google Traduttore.

Seryka aveva portato con sé un device per tradurre il linguaggio verbale dal giapponese all’italiano e viceversa in tempo reale: tuttavia, il suo utilizzo non era efficace, quindi abbiamo preferito usare il linguaggio scritto per comunicare con lei, per assicurarci che capisse quello che stava avvenendo: le proposte fatte, le decisioni prese dal gruppo e l’invito a partecipare raccogliendo le sue idee e i suoi pensieri.

Tra le dinamiche che si sono create tra i bambini e le modalità che hanno trovato per condividere idee e collaborare insieme, il gioco, in coppia o in gruppo, è stato un ottimo contesto e veicolo per Seryka e gli altri bambini per sostenere la comunicazione, la socializzazione e la loro creatività.

Un primo momento di creazione di giochi condivisi è avvenuto grazie ai piccoli giocattoli tradizionali di cartapesta (Okiagari-koboshi) che Seryka ha portato con sé dal Giappone.

“Chi sono questi personaggi, come si possono utilizzare, come ci si può giocare?”

Sono alcune delle domande che abbiamo posto a Seryka e agli altri bambini.

Seryka e la sua mamma ci hanno raccontato che questi pupazzetti, “piccolo monaco sempre-in-piedi”, se vengono lanciati o colpiti non si ribaltano, ma il loro peso li riporta sempre dritti, in piedi.
Incuriositi dal testare se l’affermazione fosse corretta, abbiamo provato a giocarci e a sperimentare, per poi  gareggiare tutti insieme in quello che è subito diventato

un gioco con le sue regole.

La caratteristica del pupazzetto di rimanere sempre in piedi ha reso necessario testarne la veridicità. I bambini, passati dal tavolo al tappeto rigido sul pavimento, hanno cominciato uno ad uno a lanciare i pupazzetti in modo diverso (chi lo lasciava cadere dall’alto, chi lo lanciava lontano, chi molto piano, chi con molta forza) e il pupazzetto si fermava sempre in piedi. Grazie a queste prove di lancio un’altra caratteristica è emersa: la possibilità dei pupazzetti di roteare su se stessi molto facilmente. Questa nuova possibilità, scoperta attraverso il gioco, ha dato il via ad un altro gioco: una gara, in questo caso, a chi faceva roteare più a lungo il proprio pupazzetto.

Un altro gioco, questa volta da tavolo, che hanno utilizzato è Dama Cinese.
Nessuno conosceva le regole, così Anna ha proposto di inventarle e dopo il pranzo del primo giorno ha chiesto a Seryka di giocare con lei.
Utilizzando il linguaggio corporeo, gli sguardi, le azioni e la lingua inglese, Anna è riuscita a spiegare a Seryka le sue regole, proponendole di inventarne e aggiungerne altre lei stessa.

Un nuovo gioco è così nato.

Ogni persona sceglie un colore e il gruppo corrispondente di pedine. Lo scopo del gioco è di spostare quante più pedine possibili del proprio colore nel triangolo opposto al triangolo di partenza. A turno, si tira il dado e si muove una pedina in qualsiasi direzione, contando ad alta voce in inglese, possibilmente tutti insieme. Se terminati i passi si finisce su una casella che contiene la pedina di un avversario, la si mangia.

L’utilizzo della lingua inglese (lingua non nativa e quindi franca per entrambe) ha creato un terreno comune, uno spazio di gioco, d’incontro e di apprendimento; il contare i passi delle pedine in inglese ad alta voce dava ritmo e significato al gioco e ha permesso sia a loro che a noi adulti che abbiamo giocato insieme, di condividere questo momento di sorpresa e prevedibilità.

Noi adulti siamo stati testimoni, l’ultimo giorno, di uno scambio silenzioso, complesso e partecipato tra Seryka e Giulia che, insieme, hanno lavorato sia per allestire un ambiente (la grotta del mondo sconosciuto, ambientazione della storia che i bambini avevano inventato durante la settimana) che per costruire degli sparacoriandoli che servivano per la scena finale e più importante della storia.

Hanno trovato un’intesa senza parlare, attraverso gesti, sguardi, complicità.

Nel video si vede chiaramente il momento in cui Seryka, dopo aver osservato Giulia, comprende l’idea che le stava dimostrando.

Giulia è riuscita a costruire una comunicazione insieme a Seryka senza utilizzare la parola,

ma solo il linguaggio corporeo e la gestualità.

Si sono osservate a vicenda, si sono guardate negli occhi, hanno indicato oggetti con le dita, hanno fatto “dimostrazioni pratiche”. La prossimità fisica è stata un elemento molto importante.

L’esperienza con Seryka è un’ulteriore conferma del fatto che la comunicazione va ben oltre il linguaggio verbale, e che non bisogna necessariamente condividere una lingua per riuscire ad entrare in relazione con gli altri, fare amicizia, comunicare e collaborare.

Il sostegno del contesto, l’urgenza di creare legami e comprensione reciproca e il desiderio di stare insieme e realizzare un progetto comune, hanno fatto sì che varie modalità e strategie siano state messe in atto da tutti durante la settimana.

I bambini hanno saputo tessere la loro complicità con naturalezza e spontaneità. Il fatto che la diversità linguistica, cioè la comunicazione verbale, non sia stata vissuta come un impedimento dimostra come i bambini vivono e creano la comunicazione anche attraverso modalità non-verbali, strategie che sono altrettanto efficaci nella costruzione di relazioni e promozione di esperienze condivise.

Sotto: Seryka e Giulia sdraiate sulla panca per registrare la scena finale

“…per esempio, noi balliamo sponteamente, o ci ritroviamo a guardare le stelle nel cielo, ma con il passare del tempo dobbiamo danzare con gli altri e guardare le stelle in un modo condivisibile con gli altri.”

J. Bruner, in AA.VV.,  “Lo stupore del conoscere – I cento linguaggi dei bambini”, Reggio Children Srl., 2011, Reggio Emilia, p. 10